Benevento
Città dagli infiniti incantesimi
Sorta nella zona delimitata dal Taburno, dai monti del Matese e da quelli del Sannio, alla confluenza del Sabato con il Calore, Benevento, che apparteneva all’antico Sannio Meridionale, deve molto dell’importanza acquisita nel corso dei secoli alla particolare posizione geografica al centro della conca da cui si diramano, in molteplici direzioni, i solchi naturali che collegano i versanti campano, pugliese e molisano dell’Appennino. Non c’è dubbio, infatti, che anche la leggenda che la vuole fondata da Diomede al ritorno della guerra di Troia alluda alle possibilità di rapporto con la regione adriatica, conservando, come osserva il Petroccia, “un nucleo fondamentale di verità” nel ricordo di antichissime migrazioni marittime verso l’Italia.
Un contatto con la Grecia è riscontrabile nella denominazione Malies, iscrizione che appare su una moneta del IV secolo a.C., che stabilisce verosimilmente il legame, sia esso si collochi al culto di Apollo Malòeis (da cui Malòentons) sia che significhi più semplicemente, centro di raccolta e di tosatura delle greggi (dalla parola greca mallos – vello di pecora – e dal suffisso collettivo enton).
Benevento, come dimostrano gli innumerevoli ritrovamenti archeologici rivenuti in tutta la città e nei centri vicini, recitò un ruolo assai importante per le sorti delle Genti Italiche. Dopo che i Romani si vendicarono dell’umiliazione subita alle Forche Caudine (lo scontro fra Pirro e i Romani nel 275 a.C.), la città sannita entrò definitivamente nell’orbita romana: ne divenne sicura alleata, il suo nome fu mutato in quello augurale di Beneventum e ne seguì le sorti di grandezza politica ed economica.
Centro fiorente di commercio e di arte, posta alla confluenza di importanti strade consolari, quali la Via Appia, la “regina viarum”, che da Roma portava a Brindisi, la Via Latina, la Via Traiana che da Benevento accorciava le distanze per l’Oriente, gareggiò con Roma per l’eleganza e la dovizia dei monumenti. L’Arco trionfale, dedicato a Traiano costruito tra il 114 e il 117 d.C. all’imbocco della via Traiana, è uno degli esempi più importanti di monumento onorario romano. Ad un solo fornice, ricalca l’impianto dell’Arco di Tito: i pannelli delle facciate e l’interno dello stesso fornice raffigurano episodi della vita di Traiano, mentre il tutto culmina con l’apoteosi dell’imperatore.
L’antico e robusto Teatro fu edificato tra il 200 e il 210 d.C. e testimonia l’importanza raggiunta da Benevento, quale centro di transito verso l’Oriente. Se questi due monumenti sono sicuri termini di riferimento dell’antico splendore di Benevento perché conservati quasi integralmente, non meno importanti sono le tracce archeologiche che testimoniano grandiosi monumenti di antiche civiltà: frammenti, reperti e documenti tutti conservati al Museo del Sannio.
La città era sicuramente dotata di un Anfiteatro, con strutture localizzate in via Munanzio Planco, dove sono stati rinvenuti rilievi di soggetto gladiatorio, testimonianza della frequente pratica di tali spettacoli e della presenza a Benevento di un “ludus magnus”. Per quanto riguarda, poi, l’ubicazione del Foro anche qui gli studiosi lo collocano tra il decumanus maximus e il Teatro grazie al ritrovamento di alcuni reperti archeologici e alle numerose epigrafi poste alla base di statue (ora perdute) dedicate a uomini illustri della città. Se è accettabile questa tesi, è probabile che in prossimità del Foro sorgeva il Tempio di Giove: caratteristica comune all’impianto di numerosi centri romani (da Roma a Pompei). Un secondo edificio dello stesso genere era costituito dalle Terme Commodiane, (situate forse nei pressi dell’attuale via S. Cristiano dove sono state rinvenute strutture murarie). Più a ovest si incontrano le rovine del criptoportico detto “I Santi Quaranta”, la cui denominazione antica, Cellarulo, fa pensare ad un emporio di merci (cellarium) posto, quindi, all’ingresso della città. Ed ancora. Le fonti epigrafiche danno notizia di altri edifici pubblici ora scomparsi: il Tempio di Minerva Berecinzia, la Basilica di Longino, il Portico di Diana, il Portico dei Sagittari, il Caesareum, il Tempio di Iside (dea propiziatrice dei viaggi). Controversa la localizzazione del monumento, presumibilmente sorgeva nella zona orientale, verso la collina, dove la città andò spandendosi in epoca traiana. Fatto costruire nell’88 d.C da Domiziano “vivente in eterno”, il Tempio fu distrutto intorno a V-IV secolo d.C., divenne, probabilmente, in seguito, una cava di pietre e di marmi da utilizzare nelle nuove costruzioni della città. Tale ipotesi spiegherebbe il rinvenimento di sculture egizie e di due obelischi nei pressi del Foro. Con l’erezione del monumentale Tempio, in città si andarono praticando riti misteriosi e culti orientali in onore della dea “occhio del sole”. Iside magica e guaritrice, sposa ideale, fascinosa, apportatrice di prosperità, dea della luna con i suoi riti notturni e divinità capace di malefici e benessere; Iside che corre a guarire il Dio Sole morsicato da un serpente velenoso da lei stesso creato e nota per il mito di Osiride, suo fratello e sposo, dal quale pur se morto, riesce ad avere un figlio. E poi, l’ “albero sacro” che appare nella vita della dea ai cui rami fu appeso Osiride quando il fratello Set, in un primo tentativo di eliminarlo, lo aveva legato sul fondo del fiume a Busiri, nel Delta. La dea si tuffò, recise l’albero e salvò il suo sposo. E fu così che la vipera (il serpente bicipite) divenne simbolo di culto che si prolungò per secoli. Poi, i Longobardi, nuovi signori della città, alimentarono con le loro superstizioni (retaggio dei loro antichi culti pagani) riti magici e venerazioni di animali, la diffusione della leggenda delle streghe. Lamìa, janare e fattucchiere, alla luce sinistra della luna, nella valle del fiume Sabato, con grida disumane praticavano diaboliche iniziazioni, tanto da coinvolgere nel chiuso delle stanze gentilizie perfino il Duca di Benevento, Romualdo. Tra leggenda e superstizione, sembrerebbe che scorribande di guerrieri e donne discinte inebriate dall’estasi della trasgressione, in danza e all’ombra frondosa del noce (albero sacro al dio degli antenati longobardi, Wotan), diedero origine alla leggenda del “Sabba delle Streghe”. Il rito? Le “meretrici” accoppiandosi a caproni, giuravano infedeltà e infanticidi. Secolari pratiche magiche, superstizione e fantasia popolare fecero il resto, quando mistero ed enigma si sono perpetuati nei secoli tanto da etichettare Benevento “città della magia” per il sovrapporsi di leggende, aneddoti ed eventi storici. E da “città stregata” a “città delle streghe” il passo fu breve. A “sradicare” il rito pagano fu San Barbato, vescovo di Benevento e uomo di profonda fede misteriosa che riportò al culto cattolico gli ariani longobardi e i sanniti beneventani (perlomeno questo era l’intento visto che, il leggendario rito delle streghe, sembra sia sopravvissuto fino agli inizi del XX secolo). Da allora la città incominciò ad arricchirsi di chiese e monasteri, ripristinando il suo ruolo di città di cultura e di arte. Santa Sofia, chiesa voluta fortemente dal magnifico principe Arechi II, rappresentò la più raffinata e alta realizzazione architettonica della fede longobarda in città e nel Mezzogiorno d’Italia, divenendo Santuario della Stirpe. Con Arechi II religiosità, cultura e arte brillarono come non mai in Benevento. La Zecca, che coniò raffinate monete d’oro, veri e propri gioielli dell’arte orafa, la scrittura beneventana o longobarda, conosciuta in tutto il mondo di allora, fecero di Benevento e del Chiostro di Santa Sofia il centro dell’umanesimo longobardo e il cuore pulsante delle attività speculative e di arte, tanto da diventare un nuovo “gimnasium”, il cui animatore fu lo storico Paolo Diacono e la moglie di Arechi II, Adelperga. Il principe, raffinato uomo di cultura (tanto da essere ammirato persino dal cognato Carlo Magno che invano aveva tentato di sottometterlo al controllo politico del suo regno), ebbe alla sua corte artisti siriani e palestinesi, il cui stile è riscontrabile nei residui degli affreschi sia di Santa Sofia sia della Cripta del Duomo. Dopo così tanto splendore, la città si incanalò in un periodo non proprio fiorente: la frantumazione del Principato, che vide nella città di Salerno e Capua le irriducibili contendenti del suo ruolo politico, Benevento (fino ad allora capitale della Longobardia “minore) decadde. Poi, l’arrivo dei Saraceni e in seguito dei Normanni che devastarono interi territori del Sannio costrinsero Benevento a gettarsi nelle braccia della Chiesa dei Papi, rimanendo “finestra dello Stato Pontificio nel Sud d’Italia” fino all’Unità Nazionale. L’insediamento Medioevale risultò caratterizzato dalla presenza del Castello (poi Rocca dei Rettori) principale punto di convergenza della rete viaria, e di alcuni edifici religiosi tra i quali il Duomo romanico-gotico.
Nel 1688 e nel 1722 Benevento fu sconvolta da due catastrofici terremoti. Le opere di ricostruzione, condotte sotto l’appassionata guida del cardinale Vincenzo M. Orsini (divenuto nel 1724 papa con il nome di Benedetto XII) e con l’impegno di illustri architetti come il Raguzzini, gli conferirono gli eleganti connotati tardo-barocchi che ancora la contraddistinguono. Le parti più antiche sono ancora connotate dalle Mura Longobarde.